Ho finto. Spesso.
A volte per difesa, in attesa che qualcosa cambiasse da sé. Perché farlo cambiare io avrebbe significato distruggere.
E io, nonostante tutto, non volevo distruggere.
Non volevo avere il sangue delle parole giuste sulle mani.
Così ho scelto il silenzio. Il compromesso. Il peso.
Altre volte ho finto per il bene dell’altra persona. Gratuitamente.
Per amore? Forse.
Per pietà? Talvolta.
Perché in fondo sapevo che se avessi detto la verità, l’avrei annientata.
E non sono un assassino.
Ma è costato.
In energia, in pazienza, in disciplina.
Ho dovuto contenere tempeste. Rabbie sante.
Ho sorriso davanti a incoerenze che avrebbero meritato solo l’esilio.
Nessuno sa nulla di questo.
Perché quello che fai per il bene altrui, spesso, deve restare invisibile.
O perderebbe potere.
O diventerebbe accusa.
Agisco in nome di un “bene” che non saprei nemmeno definire.
Non è tornaconto personale.
Quelli li conosco, li vedo, li capisco.
E li accetto anche, a volte. Senza troppe colpe.
A volte sembrano quasi illegali, ma mi danno soddisfazione.
Come se fossi un Robin Hood privato. Egoista.
Un Punisher etico. Invisibile. E ignoto.
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